Illustrati i nuovi compiti del SottoComitato 64C, recentemente aggiornati.

Evoluzione e tecnologie impiantistiche per la sicurezza e la conservazione dei luoghi pregevoli per arte e storia.
Domenico Trisciuoglio (Membro CEI/CT 64)
L’Italia è uno dei Paesi più ricchi di storia e di cultura di tutto il vecchio continente e, probabilmente, di tutto il mondo; non si sbaglia affermando che in Italia abbiamo la maggior parte del patrimonio culturale, artistico e storico di tutto il mondo.
Eventi come il recente Giubileo, Campionati mondiali di vari sport, turismo in generale, portano ogni anno milioni di visitatori nel nostro Paese; turisti che, al di là della manifestazione occasionale, cercano di visitare tali siti per scoprire le bellezze che conservano alla memoria dell’uomo.
Tale immenso patrimonio, il “tesoro degli italiani” come venne definito anni fa, deve essere salvaguardato per gli anni futuri e reso fruibile in sicurezza per i milioni di visitatori che ne usufruiscono.
La carta del restauro del lontano 1931, già dettava i canoni fondamentali per la conservazione ed il restauro di tali luoghi, mentre la legge 1089 del 1 giugno 1939 fissava in maniera inequivocabile i principi per la tutela delle cose di interesse storico ed artistico.
Anche il CEI, sempre molto attento alle necessità del mondo elettrotecnico del quale emana le norme, redasse e pubblicò nel 1942 la Norma 64-1 che regolava i criteri da seguire per gli impianti elettrici negli edifici monumentali, norma poi abrogata nel 1989 ed inglobata nella norma generale 64-8.
Oggi esiste, nell’ambito del CEI un SottoComitato (CEI/SC 64E) che si occupa specificamente degli impianti elettrici nei luoghi pregevoli per arte e storia.
In questo articolo, cercheremo di evidenziare le complesse problematiche di fronte alle quali ci si trova quando ci si accinge ad intervenire su vecchie strutture, edifici d’epoca o pregevoli per arte e storia, con l’obiettivo di riproporli per un uso moderno, nel rispetto delle loro caratteristiche artistico-formali ma anche delle leggi e dei regolamenti di sicurezza esistenti.
Nella maggior parte dei casi, la fruibilità di un sito, specialmente se d’epoca, dipende dalle caratteristiche degli impianti; la sicurezza, invece, dipende sempre dalla loro qualità.
Ecco per quale motivo rendere fruibile un edificio pregevole per arte e storia significa, in primo luogo, ristrutturare o realizzare ex-novo impianti elettrici, di climatizzazione e speciali con elevate caratteristiche tecniche, senza per questo dimenticare l’aspetto economico, sia in fase di prima realizzazione degli impianti, sia per quanto attiene l’aspetto gestionale e manutentivo.
Partendo da tali considerazioni, ci si prefigge di illustrare quanto le moderne tecnologie mettono a disposizione dei progettisti per la migliore soluzione tecnico-economica di tali problematiche.
E’ necessario, in primo luogo, individuare dettagliatamente le problematiche tipiche che si presentano nella realizzazione di tali impianti.
Caratteristiche dell’edificio
Per essere resi fruibili all’utenza, gli edifici storici e pregevoli per arte e storia necessitano di impianti di ogni tipo. Ma quali e quante sono le difficoltà da superare per renderli “fruibili e sicuri”?
In primo luogo, l’edificio, solitamente poco o per nulla “elettrificato”, va assolutamente dotato di un degno impianto di illuminazione e di un efficiente impianto di forza motrice per tutti quegli utilizzatori che vi trovano posto; tra questi, naturalmente un adeguato impianto di climatizzazione (riscaldamento e condizionamento). In secondo luogo, è necessario garantire la sicurezza, sia per il personale dipendente che per l’eventuale pubblico di visitatori.
Sia nel primo che nel secondo caso, assumono rilevanza fondamentale gli impianti e il modo di realizzarli.
Al primo posto si pone la sicurezza sia del personale dipendente che del visitatore dell’edificio; l’analisi dei rischi porta, per luoghi di questo tipo, ad individuare una serie di rischi legati fondamentalmente a:
Evidentemente, far fronte a tali rischi significa:
Si rende perciò indispensabile un significativo sforzo di razionalizzazione, un’opera molto impegnativa per il coordinamento delle opere da realizzarsi, nonché la realizzazione finale di un adeguato sistema di supervisione di tutti gli impianti citati.
Ma alle difficoltà di natura tecnica si aggiungono quelle di natura temporale ed economica. I lavori solitamente devono essere effettuati in tempi ristrettissimi ed a cifre molto contenute vista l’estrema limitatezza delle risorse economiche disponibili. A fronte di queste situazioni, vediamo quali strade seguire per una corretta impostazione progettuale, specifica per questi ambienti e come le moderne tecnologie possono contribuire alla soluzione delle citate problematiche.
Normative di riferimento
Le norme di riferimento sono ovviamente le Norme CEI, tra cui spicca la 64-8 relativa agli impianti elettrici utilizzatori, le norme specifiche di prodotto, nonché eventuali e specifiche circolari e disposizioni ministeriali. A tutte queste si è recentemente aggiunta la nuova normativa attinente i requisiti cui devono rispondere alcuni materiali da costruzione, tra i quali i cavi elettrici. Infatti, le vecchie strutture e i luoghi pregevoli per arte e storia ricadono nella categoria degli ambienti a maggior rischio in caso d’incendio sia in quanto luoghi con presenza di un numero considerevole di persone, sia in quanto spesso, sono edifici in cui molte strutture sono di tipo ligneo o, in genere, c’è presenza di materiali combustibili.
Una volta fatto cenno alla nuova norma sugli impianti, vediamo dunque i criteri fondamentali cui ci si può rifare nello sviluppo di un progetto impiantistico relativo ad un generico edificio pregevole per arte e storia.
Gli impianti elettrici
Gli impianti elettrici in una vecchia struttura, hanno difficoltà realizzative in quanto devono essere integrati in ambienti ad alto pregio artistico, nei quali vi è l’impossibilità pratica di realizzare passaggi nei muri o nelle pareti, pur dovendo garantire un livello di sicurezza decisamente elevato, sia per le persone che per le cose. Il raggiungimento di questi obiettivi ambiziosi ma necessari, con tutti i limiti imposti dalle circostanze, è così difficile da scoraggiare anche gli “impiantisti” più preparati e scaltri, e per questo va subito anticipato che ogni problema è tipico del luogo e delle circostanze e deve essere specificamente affrontato e risolto.
Ciò nonostante, cercheremo di suggerire alcune soluzioni che possano risultare valide per la quasi totalità dei casi.
Razionalizzare la distribuzione
In primo luogo, è indispensabile razionalizzare la distribuzione: innanzitutto individuare dei locali dove ubicare la cabina di trasformazione e le eventuali sorgenti di energia di emergenza e sicurezza, quali gruppi elettrogeni e di continuità.
Si cercherà pertanto di:
L’ideale per i locali dove posizionare le macchine principali, sarebbe poterne disporre in ambienti separati fisicamente dalla struttura. In caso contrario, occorrerà realizzare locali che, in caso di incendio, risultino separabili dal resto della struttura attraverso barriere, filtri, materiali resistenti al fuoco.
Diventano quindi fondamentali :
Per quanto concerne la scelta dei componenti, potendo disporre di spazi limitati, si consiglia l’impiego di tecnologie avanzate, affidandosi a trasformatori a secco o in resina; lo stesso vale per la tecnologia dei quadri in media tensione, dove isolamenti in esafluoruro, ad esempio, consentono ingombri ridotti e massima sicurezza.
Evidentemente, la disponibilità di spazi estremamente limitati deve essere tenuta in conto quando si considera il problema delle sovratemperature che possono determinarsi nei locali stessi durante il funzionamento delle macchine e delle apparecchiature (trasformatori, interruttori, ecc.): si ricordi che l’effetto di tali sovratemperature, oltre a danni che possono causare nel lungo termine (deterioramento dei componenti), comporta nell’immediato il declassamento di tutti gli apparecchi presenti nei locali stessi.
Di qui la necessità che i locali tecnici risultino sempre ben aerati: se ciò non dovesse risultare possibile per carenza di aperture naturali verso l’esterno, è indispensabile il ricorso a sistemi di areazione forzata.
Diversa è la situazione per quanto riguarda il posizionamento di un eventuale gruppo elettrogeno: circa la sua ubicazione si rimanda alle circolari Ministeriali e alle prescrizioni dei Vigili del Fuoco. Di certo, comunque, se il locale che ospita il gruppo è compreso nel volume dell’edificio, almeno una parete o parte di esso deve essere attestata in spazio a cielo libero.
Le strutture orizzontali e verticali devono avere una resistenza al fuoco di almeno 120 °C; l’altezza libera interna dal pavimento al soffitto non deve essere inferiore a 2,50 metri, mentre la di- stanza, su almeno tre lati, tra le pareti del locale ed il perimetro d’ingombro del gruppo non deve essere inferiore a 0,60 metri.
Anche in questo caso è importantissima l’areazione del locale ma ancora maggior rilievo assume la necessità di riportare i gas di scarico all’aperto, in copertura, secondo i crismi dettati dai Vigili del Fuoco, cui dovrà sempre essere inoltrato il progetto per la sicurezza antincendio per l’approvazione preventiva.
Un discorso diverso va fatto per il gruppo di continuità assoluta, in grado di garantire l’alimentazione di sicurezza dei carichi cosiddetti “vitali” dell’edificio, e cioè quelli che non possono tollerare l’interruzione dell’alimentazione neanche per qualche secondo.
Questa sorgente d’energia rappresenta non solo una necessità per garantire la richiesta continuità di alimentazione, ma può spesso risolvere i problemi connessi con l’installazione di un gruppo elettrogeno.
Come noto, un gruppo di continuità ha, generalmente, un costo molto più elevato di un gruppo elettrogeno e, soprattutto, tale costo cresce al crescere dell’autonomia richiesta alle batterie. L’adozione delle moderne batterie di tipo ermetico ed il collocamento del relativo gruppo di continuità può risultare molto più semplice in ambienti come quelli storici, dove gli spazi a disposizione per i locali tecnici sono sempre limitati.
Laddove la sorgente primaria di energia ha una buona continuità di funzionamento (poche interruzioni annue) e tali interruzioni sono solitamente di breve durata, o dove i carichi “vitali” hanno una potenza limitata, può senz’altro risultare più conveniente l’utilizzo di un gruppo di continuità di maggiore potenza ed autonomia rispetto all’utilizzo di altre sorgenti di energia alternativa: è comunque compito del progettista, caso per caso, analizzare tale possibilità, effettuando un’accurata analisi tecnico-economica delle soluzioni possibili.
Suddivisione dell’edificio in zone o aree di pertinenza
Il progettista, insieme al gestore dell’edificio, individuerà le abitudini di “vita” dell’edificio, con i relativi ritmi e frequenze, per calzare l’impianto su tali necessità.
Un criterio può essere ad esempio quello di suddividere nettamente, sotto il profilo impiantistico, le aree di accesso al pubblico da quelle accessibili solo al personale dipendente, aree che spesso hanno anche diversi orari di funzionamento; a questo può aggiungersi la classica separazione per piani o, nell’ambito dello stesso piano, per settori o zone.
Inoltre, essendo indispensabile realizzare dei “compartimenti antincendio”, ai fini della prevenzione incendi, una ulteriore suddivisione potrebbe essere effettuata attraverso tali compartimentazioni. Questa suddivisione “topografica” e “funzionale” dei carichi elettrici dell’edificio è di fondamentale importanza non solo per la realizzazione dell’impianto, ma soprattutto per la sua gestione futura, sia in regime ordinario che in caso di emergenza.
Dislocazione del quadro generale e dei sottoquadri principali
Nella dislocazione del quadro generale, e soprattutto dei sottoquadri principali, le problematiche sono principalmente quelle relative agli spazi e, molto spesso, all’inserimento architettonico della componentistica elettrica nel contesto museale.
Per quanto riguarda il quadro generale esso va assolutamente dislocato in un ambiente a suo uso esclusivo, facilmente accessibile al personale qualificato addetto alla sua gestione e, possibilmente, vicino ad una centrale di controllo e gestione, la cui presenza è non solo auspicabile in ogni edificio di questo genere, ma addirittura indispensabile: pertanto tali ambienti sono assolutamente da individuare, se necessario, sacrificando qualche altro servizio meno indispensabile.
Per i sottoquadri il problema è senz’altro maggiore: essi, di solito, sono sufficientemente grandi da non potersi facilmente “mimetizzare” e, d’altro canto, giocano un ruolo fondamentale nell’architettura di un buon impianto elettrico.
La loro corretta ubicazione, sotto l’aspetto puramente elettrico, è di fondamentale importanza perché essi contengono gli apparecchi di protezione sia per i cavi che per le persone, apparecchi che con il loro intervento possono determinare la salvezza di una vita umana o l’insorgere o meno di un eventuale incendio.
Inoltre, nel decidere la loro ubicazione bisogna tener presente, oltre ai citati problemi “estetici”, anche quelli di “transitabilità” per i cavi in ingresso ed in uscita: i sottoquadri sono infatti apparecchiature in cui convergono molti cavi e quindi risulta indispensabile collocarli in un punto dove è possibile creare una via cavi adeguata.
Infine, essi devono risultare inaccessibili al pubblico e accessibili al personale dipendente: come si vede, è una problematica con svariate incognite.
Una prima strada può essere quella di prevedere un limitato numero di sottoquadri in modo da avere minori problemi per la loro ubicazione. Ciò porta alla necessità di concentrare elevate potenze elettriche in alcuni punti dell’edificio e quindi di trasportare energia attraverso un nu- mero senz’altro minore di cavi ma con sezioni di dimensioni considerevoli.
Per contro, vi sarà una distribuzione secondaria molto più capillare e quantitativamente “pesante”, oltre che una possibilità limitata di gestione dell’impianto, venendo a cadere quella gestione per aree o per zone di cui si è precedentemente parlato.
Una seconda ipotesi è quella invece di prevedere un maggior numero di sottoquadri secondari. Questa seconda strada porta alla realizzazione di un quadro generale di dimensioni senz’altro maggiori; nel contempo ciascun sottoquadro avrà una concentrazione di potenza minore e anche i cavi di alimentazione saranno di sezioni inferiori.
Anche la gestione dell’impianto risulterà maggiormente differenziata, potendosi suddividere l’impianto in un maggior numero di aree.
Con questa soluzione, risulterà più consistente la distribuzione primaria (da quadro generale a sottoquadri) e meglio organizzata la distribuzione secondaria (da sottoquadri a utilizzatori o ad ulteriori quadretti locali).
Non è possibile stabilire delle regole univoche: è sempre compito del progettista giudicare e scegliere la soluzione più opportuna per i casi che di volta in volta gli si presentano in funzione delle circostanze in cui si trova.
Scelta delle direttrici principali per le vie cavi
Un altro problema che si presenta con notevole frequenza è quello della realizzazione delle vie cavi.
Ai vecchi ed originari cavetti di piccolissima sezione per piccoli carichi, oggi si sono sostituiti cavi di notevoli dimensioni che alimentano carichi elettrici importanti.
Come risolvere tale problematica?
In alcuni casi, effettuando sopralluoghi approfonditi sul posto, possono scoprirsi intercapedini che, nel corso degli anni sono state abbandonate o murate e che invece, nell’ambito di una ristrutturazione totale, possono essere utilizzate come percorso della distribuzione principale.
In altri casi, non potendo aprire varchi e passaggi nelle pareti, può risultare invece possibile portare la canalizzazione principale sottopavimento (spesso infatti ci si trova in presenza di pavimentazioni non originali); inoltre, realizzando le dorsali sottopavimento, si può individuare come direttrice quella che passa per tutte le porte le quali, sovente, negli edifici d’epoca, sono tutte allineate tra loro, evitando così di dover effettuare fori di dimensioni notevoli nelle pareti.
Un’ulteriore ipotesi, percorsa nella maggior par-te dei casi, è l’utilizzo dei “cornicioni” che abbondano nelle sale degli edifici d’epoca: questi fregi, nati allo scopo di abbellire le sale e di “staccare” le pareti dalla volta quasi ovunque presente, costituisce oggi l’ancora di salvataggio per gli impiantisti.
Inoltre, è invalso l’uso di localizzare gli apparecchi di illuminazione (quasi sempre faretti a Led) sui cornicioni stessi, per cui anche la derivazione, dalla montante all’apparecchio illuminante, può risultare di più facile realizzazione.
Teatro San Carlo – Principio di funzionamento e caratteristiche del sistema
Si fornisce una breve descrizione dell’impianto elettrico realizzato per il Teatro San Carlo di Napoli.
Realizzato per la prima volta in Italia nel lontano 1993, l’impianto del Teatro San Carlo di Napoli ha dato risultati così incoraggianti e di minimo impatto da diventare nei successivi 25 anni la tecnologia più utilizzata in Italia nei luoghi pregevoli per arte e storia.
E’ stato realizzato un sistema che costituisce il primo esempio di gestione e controllo degli impianti di tipo “decentralizzato”. Ciò che consente di fare non è certo innovativo, ma lo è senz’altro il modo in cui lo fa. Infatti, le sue funzioni, la possibilità di controllare e gestire a distanza ogni tipo di utilizzatore erano note già da tempo e, specialmente in grandi impianti di automazione industriale, realizzate da molti anni.
Tuttavia l’autentica rivoluzione “copernicana” del sistema, che ne ha determinato il successo soprattutto in ambienti di questo tipo, è la “decentralizzazione” dell’intelligenza. Infatti, i sistemi di controllo e gestione di molti anni fa erano costituiti da una centrale molto grande e potente che costituiva il “cervello” del sistema: a tale centrale facevano capo praticamente tutti i sottosistemi e tutti gli utilizzatori dei vari impianti, tutti ugualmente “stupidi”, in grado cioè solo di essere “passivamente” comandati o controllati. Ad esempio, una lampada o una serie di lampade poste in una sala, poteva essere comunque accesa o spenta a distanza, dalla centrale operativa ma, per fare ciò, occorreva una serie notevolissima di collegamenti di andata e ritorno, collegamenti da realizzarsi in cavo, spesso a tensione di rete (220 V) e non di sicurezza.
Il sistema utilizzato è costituito da una piccola centrale di controllo, quale un semplice PC e da una serie di “intelligenze” distribuite in campo, collegate tra loro e alla centrale da un’unica linea di collegamento, appunto la linea bus. Quando si parla di “intelligenze” distribuite in campo, si parla in realtà di componenti elettronici, piccoli ed affidabilissimi che vengono montati in campo, nei quadri elettrici o, spesso, anche vicino agli utilizzatori e che hanno fondamentalmente una funzione di sensore, cioè di “trasmettitore di istruzioni” o di “attuatore”, vale a dire di “ricevitore di istruzioni”.
Tutti questi componenti, sono collegati tra loro da una linea di trasmissione comune, il bus, che, lungo il suo percorso, le collega, così come le incontra.
Tutte le utenze possono così scambiarsi informazioni attraverso il cavetto bus; la trasmissione dei dati avviene in modalità seriale e secondo regole ben precise (protocollo bus): l’informazione da trasmettere viene “impacchettata” in un telegramma ed inviata, tramite la linea bus, da un sensore ad uno o più attuatori; tutti i ricevitori vengono interessati dal telegramma, ma solo quello cui è indirizzato riceve l’informazione e dà seguito all’attuazione del comando. Il ricevitore, inoltre, conferma sempre la ricezione del telegramma; se la conferma non avviene, la trasmissione viene ripetuta fino a tre volte e successivamente interrotta, qualora non si verifichi ancora alcuna conferma della ricezione del telegramma. In caso di eventuale errore, esso viene memorizzato nella memoria del trasmettitore.
Naturalmente, per poter scambiare messaggi in un sistema bus, è necessario che ogni apparecchio sia identificabile in modo univoco; a tale scopo ad ogni apparecchio, sia attuatore che sensore, viene assegnato in fase progettuale un cosiddetto “indirizzo fisico” esclusivo.